La città di Viterbo gli deve tanto.
Virginio Vespignani, uno dei maggiori architetti italiani dell’Ottocento, ha lasciato l’impronta del suo genio soprattutto in Roma ma molto ha seminato anche a Viterbo.
Vespignani nasce a Roma il 12 febbraio 1808; città dove muore il 4 dicembre 1882; le enciclopedie lo riconducono alla corrente del neoclassicismo ma le sue opere raccontano di una figura complessa con influenze rinascimentali e romantiche. Fu anche un apprezzatissimo studioso di monumenti antichi. Fra le opere romane più celebri spiccano la continuazione del cimitero del Verano, iniziato dall’architetto Giuseppe Valadier (noto ai più per essere il progettista della celebre “casina”), il restauro “interpretativo” dell’antica basilica di S. Maria in Trastevere, la “cappella della Madonna dell’Archetto”, la “cappella piccola” del rione Trevi (quello della famosa Fontana), il restauro di due importanti porte romane: Porta Pia e Porta S. Pancrazio nelle Mura Aureliane.
Perché Vespignani è importante per Viterbo? Perché è stato il progettista del Teatro dell’Unione e del Gran Caffè Schenardi.
Vespignani vince il concorso indetto nel 1845 dalla “Società dei Palchettisti” per la costruzione del secondo teatro di Viterbo e il nome “dell’unione” proviene dall’iniziativa unitaria di quella società, presieduta dal conte Tommaso Fani Ciotti. Allora c’era già il Teatro Genio e la coesistenza di due teatri racconta di quanto doveva essere culturalmente vivace la nostra città in quel periodo.
È utile richiamare come l’opera lirica, nell’Ottocento, fosse un vero stigma identitario nazionale e un’espressione delle aspirazioni unitarie degli italiani ed è lecito ritenere che la denominazione “Teatro dell’Unione” esprimesse riferimenti espliciti a quegli ideali.
Di quella intensa parentesi viterbese sono testimonianza le 280 lettere di Vespignani indirizzate ai costruttori locali, attualmente conservate nella Biblioteca degli Ardenti e oggetto di un importante volume “Le 280 lettere di Virginio Vespignani per la costruzione del Teatro dell’Unione di Viterbo”.
Ricavato in un palazzo di corso Italia risalente alla fine del XV secolo, il “Gran Caffè Schenardi” (1855) è un altro parametro architettonico; un gioiello cittadino per troppo tempo colpevolmente chiuso.
Vincenzo e Crispino Schenardi di Napoli, “pasticceri, confettieri e liquoristi”, chiamarono proprio Virginio Vespignani il quale non deluse le attese trasformando il vincolo strutturale dell’edificio originario in un grandioso effetto scenico: una galleria neoclassica, con colonne, nicchie e statue dove negli anni sono passati re, papi, eroi, scrittori, registi, attori e giornalisti.
Opere di Vespignani si trovano anche a Tarquinia (monumento al cardinal Quaglia e Palazzo Bruschi) e a Orvieto: il Teatro Mancinelli è un suo progetto.
Virginio Vespignani è uno dei maggiori contributori dell’identità viterbese ma, purtroppo, colpevolmente dimenticato; a 142 anni dalla scomparsa questo vuol essere il contributo alla memoria de “Ilcaffeletterario.org”.