ANNO RECORD PER IL ROTARY CLUB ROMA ANIENE CON NUOVI SOCI, NUOVI PROGETTI SOLIDALI E UN’ESPANSIONE TERRITORIALE

ROMA – Cornice dell’evento il grande salone moderno-neoclassico del Palace Hotel di via Veneto dove, nella serata di mercoledì 20 dicembre, il presidente Deneb Antuoni e il prefetto e past president Sara Iannone hanno accolto i soci del club romano per festeggiare insieme l’inizio delle festività natalizie e fare un bilancio delle attività promosse nell’anno 2023.

Un bilancio ricco di soddisfazioni che hanno raggiunto l’apice nei partenariati attivati con due importanti scuole laziali, il Liceo “Sandro Pertini” di Ladispoli e l’Istituto comprensivo “Silvio Canevari” di Viterbo, dove è stato sperimentato un format innovativo di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo.

Il prefetto Sara Iannone e il presidente Deneb Antuoni

In rappresentanza delle due istituzioni scolastiche le socie Fabia Baldi, dirigente scolastica del liceo Pertini e Anna Maria Stefanini, insegnante nell’IC Canevari di Viterbo.

Anna Maria Stefanini ed Emilio della Fontanazza

Presente Rosa Maria Purchiaroni, presidente della Commissione Nuove Generazioni, psicopedagogista e responsabile del progetto.

La Città dei Papi era inoltre rappresentata dal presidente del Rotary club di Viterbo Angelo Landi, attivo supporter dell’iniziativa viterbese che ha anche ringraziato e rivolto un indirizzo di saluto ai soci della consorella romana, dall’avvocato Paola Melis, che è stata fra i relatori all’evento tenutosi lo scorso 15 dicembre in occasione della presentazione del progetto, e Carlo Alvise Crispoldi.

[caption id="attachment_252" align="alignnone" width="300"] Angelo.Landi, presidente Rotary Club Viterbo

Nel condividere i risultati conseguiti in questi primi sei mesi di presidenza, Deneb Antuoni ha ricordato i numerosi service già realizzati dal club nelle diverse aree di intervento, tutti guidati dal desiderio di accendere “una luce di speranza” e generare un impatto positivo a lungo termine, valori rotariani condivisi da tutti i soci.

La serata dedicata agli auguri è stata in realtà un percorso perché, dopo i saluti e una breve relazione del presidente Deneb Antuoni, hanno preso la scena Marcella Foranna, soprano, accompagnata al piano dal maestro Alessandro Grossi e la pianista Stella Camelia Enescu. Tutti hanno eseguito traditional di grande impatto musicale, in perfetta sintonia con il clima natalizio.
A seguire la sintassi sensoriale predisposta dagli chef del Palace Hotel e una riffa solidale con premi molto apprezzati dalle signore presenti.
Il presidente Deneb Antuoni e Sara Iannone hanno presentato anche cinque nuovi soci: Rosetta Attento, Paride Roberto Masiello, Loredana Carrillo, Irene Strangis.

Fra il pubblico la stilista Eleonora Altamore, il presidente dello Spoleto Art Festival Luca Filipponi, il giornalista Maurizio Moretti, l’avvocato Laura Nuccetelli.


Il tutto immortalato dagli iconici scatti del fotografo Mario Giannini.
I proventi della riffa saranno devoluti a sostegno delle iniziative solidali del Rotary club Roma Aniene.

Il suono della campana rotariana ha concluso la piacevole serata conviviale di auguri.

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Viterbo e le sue tradizioni: il pesce di Sant’Andrea

Viterbo non dimentica le sue tradizioni.
Finalmente è arrivato il giorno tanto atteso dai bambini viterbesi: la festa di Sant’ Andrea.

Nel mese di novembre, nella Città dei Papi, le vetrine di pasticcerie e sui banchi dei supermercati, si vedono pesci di cioccolato avvolti in scintillante carta stagnola di vari colori: è il tradizionale pesce di Sant’Andrea.

Il 30 novembre di ogni anno, infatti, in occasione della ricorrenza di Sant’Andrea, è usanza diffusa nella città dell’Alto Lazio, regalare dei pesci di cioccolato, contenenti una sorpresa, ai bambini, ai familiari o alla persona della quale si è innamorati.

L’ antica tradizione, nata a Pianoscarano, si rinnova oggi, 30 novembre, alle ore 17, alla chiesa di Sant’Andrea, che è appunto dedicata al Santo pescatore, nel cuore del popolare quartiere di Pianoscarano.
Il pesce è uno dei simboli del Cristianesimo fin dagli albori. Fu il pescatore Andrea, fratello di Simone che poi divenne Pietro, a scoprire per primo Gesù e a farlo conoscere a Pietro.
Entrambi furono seguaci di Gesù ed entrambi furono crocifissi: San Pietro a testa in giù; Sant’Andrea su una croce a forma di X, che fu poi definita appunto “croce di Sant’Andrea”.

Secondo la tradizione, a Viterbo era l’apostolo pescatore a portare ai bambini il pesce di Sant’Andrea, nella notte tra il 29 e il 30 novembre. I piccoli ancora mettono un piatto con del cibo per il Santo sul davanzale della finestra e al mattino vi trovavano il pesce e altri piccoli doni. Un tempo, il parroco di Pianoscarano era solito collocare i pesci di cioccolato nell’acquasantiera nella notte di Sant’Andrea.

A Viterbo, nel Medioevo ogni corporazione delle arti aveva un proprio santo patrono, che per la corporazione degli Ortolani era sant’Andrea, la cui chiesa in Pianoscarano era vicina a un gran numero di orti favoriti da una condotta d’acqua destinata a irrigarli.

Sappiamo anche che gli ortolani viterbesi vendevano i loro prodotti nella piazza del mercato che anticamente era quella che oggi chiamiamo piazza del Gesù, dal nome della chiesa che sorge in fonfo alla piazza. All’interno di questa chiesa si può vedere un grande affresco del 16esimo secolo che rappresenta nella parte centrale il “noli me tangere” e ai lati le figure di due santi: san Silvestro, al quale è dedicata la chiesa, e sant’Andrea. Quest’ultimo, probabilmente fatto dipingere dagli Ortolani, è rappresentato con la croce decussata, emblema dello strumento del suo martirio, e un pesce che pende dalla sua mano. Un particolare questo che potrebbe aver dato l’idea di come modellare gli odierni pesci di cioccolato, tanto la forma è simile.

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GRANDE SUCCESSO DEL FORUM DEL ROTARY CLUB ROMA ANIENE “IN ATTESA DELLA PACE STRATEGIE E TATTICHE, ECONOMIA E FINANZA”

È possibile guardare avanti e interrogare il futuro negli anni in cui il mondo è scosso da pandemie e guerre globali?
Secondo il Rotary Club Roma Aniene questo non solo è possibile ma è addirittura necessario se si vogliono costruire sentieri di pace, di convivenza e di ripresa e prevenire i cicli negativi.

Una plastica evidenza di tale atteggiamento attivo-progressivo si è avuto al forum organizzato dal Rotary Club Roma Aniene la serata del 14 novembre scorso all’Hotel Hive di Roma.

Di alto profilo il panel dell’evento, moderato dal presidente Deneb Antuoni: il generale Salvatore Farina, Generale di Corpo d’Armata, ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e i professori Gianfranco Lizza, già ordinario di Geografia politica ed economica alla Sapienza di Roma e Fabio Verna, economista e già docente di Analisi finanziaria.

I relatori hanno concentrato l’attenzione sugli sforzi della diplomazia, obbligata a operare su due livelli: nel microcosmo, dove gli attori militari disegnano le strategie di combattimento e nel macrocosmo, quello dove i grandi blocchi geopolitici globali presidiano i propri interessi.
Per quanto possa apparire paradossale, anche in questa dolorosa contemporaneità gli esperti hanno sottolineato la necessità di mantenere in primo piano gli scenari geo-economici perché, come è stato ricordato, nessuna guerra ha mai messo fine alla guerra.

Molti gli ospiti: l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta, rappresentanti di altri club rotariani anche di diversi distretti e la dott.sa Laura Restelli, del Club Leonardo da Vinci di Milano.
Crediti di Mario Giannini.
Dietro l’evento l’accorta quanto discreta regia del prefetto Sara Iannone.
La serata ha potuto godere del contributo distensivo delle portate preparate dagli chef dell’Hotel The Hive.


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2 NOVEMBRE 1940: NASCE A ROMA GIGI PROIETTI; 2 NOVEMBRE 2020: MUORE A ROMA GIGI PROIETTI

Una vita meravigliosa racchiusa entro la medesima data del 2 novembre e nella medesima città; in mezzo 80 anni di comicità, cabaret, teatro, film, fiction, canzoni, libri etc. all’insegna del garbo, dell’ironia, della romanità-italianità e dell’intelligenza.
Figlio di Romano Proietti, originario di Amelia (TR) e della casalinga Giovanna Ceci, Gigi nasce a Roma in via sant’Eligio, a pochi metri da dove era nato Ettore Petrolini (1884-1936), il “Gigi Proietti” del primo ‘900. Quando gli chiedevano se il suo stile venisse proprio da Petrolini rispondeva con una citazione del grande fantasista, come Gigi poco incline alle etichette: “Quando a Petrolini gli si chiedeva se discendesse dalla Commedia dell’Arte lui rispondeva “Io discendo solo dalle scale di casa mia”.
Fra i tanti trasferimenti romani soggiorna anche nella popolare borgata “der Tufello” dove avviene la sua prima formazione artistica-culturale. Gigi è un bravo studente: prende il diploma liceale e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza ma mentre studia si appassiona alla musica ed impara a suonare chitarra, pianoforte, fisarmonica e contrabasso e comincia ad esibirsi nelle feste e nei locali. Un’attività che diventa sempre più importante e impegnativa; è così che, a pochi esami dalla laurea, abbandona gli studi.
Si iscrive al “Centro Teatro Ateneo”, una struttura dell’università “La sapienza” dove hanno insegnato, fra gli altri, Arnoldo Foà, Giulietta Masina e Giovanni Sbragia. La sua giornata tipo era formata da lezioni teoriche la mattina, prove in palcoscenico il pomeriggio e esibizioni nei locali la notte; quello che guadagnava di notte gli serviva per pagarsi le lezioni del giorno. Negli anni ’60 frequenta anche un corso di mimica; il direttore del corso, l’attore, mimo e regista Giancarlo Cobelli (1929-2012) nota le sue grandi doti attoriali e, nel 1963, lo scrittura per un suo spettacolo, il “Can Can degli italiani”. Dal 1964 comincia a recitare parti secondarie nel “Gruppo Sperimentale 101”, uno dei tanti centri teatrali sperimentali fioriti a Roma negli anni ’60 dove figurava, oltre Cobelli, anche Andrea Camilleri. Il suo primo ruolo sarà “l’upupa” ne “Gli uccelli” di Aristofane. Dal 1968 comincia a recitare nei ruoli di protagonista nel Teatro Stabile de L’Aquila.
Dal 1964 inizia a recitare anche per il cinema in film di Ettore Scola e Tinto Brass; per Brass interpreta il suo primo ruolo da protagonista ne “L’urlo”, presentato a Cannes. In quegli anni comincia ad apparire anche in televisione. Le sue apparizioni in teatro, al cinema e in TV si fanno sempre più frequenti e sempre più caratterizzate da ruoli importanti.
Nel 1976 stringe un importante rapporto di collaborazione con lo scrittore, commediografo e sceneggiatore Roberto Lerici (1931-1992) e comincia a scrivere e dirigere propri spettacoli dove mette in luce le sue formidabili doti di improvvisatore, monologhista, cantante, imitatore e ballerino; tra questi il celeberrimo “A me gli occhi please” che replicherà più volte nel ’93, ’96 e nel 2000, allo stadio Olimpico di Roma.
Nel 1978 è incaricato della direzione artistica del Teatro Brancaccio di Roma dove istituisce la sua celebre scuola per giovani attori “Laboratorio di Esercitazioni Sceniche” dove si formeranno generazioni di talenti come Giorgio Tirabassi, Massimo Wertmuller, Rodolfo Laganà, Francesca Reggiani, Flavio Insinna, Enrico Brignano e molti altri.
Da allora è un flusso continuo di apparizioni e produzioni in tutti i settori dello spettacolo sino alla grande consacrazione di massa del 1996 grazie alla serie TV “Il maresciallo Rocca”, ambientato nella stazione dei carabinieri di Viterbo con al fianco una superba Stefania Sandrelli. L’enorme successo della serie, diretta da Giorgia Capitani, con ascolti da Festival di S. Remo, obbligherà gli autori a ben cinque nuove edizioni.
Da quel momento Gigi Proietti cessa di essere performer teatrale, cinematografico e televisivo per assumere quello di Principe dello spettacolo.
Quanto grande è la sua immagine pubblica tanto riservata è la sua vita privata: dal 1962 è legato all’ex guida turistica, la svedese Sagitta Alter con cui conviverà per tutta la vita; dalla loro unione nascono le figlie Susanna e Carlotta.
Gigi ci lascia il 2 novembre, nel giorno del suo 80° compleanno, nella clinica romana Villa Margherita, dove era ricoverato, per un arresto cardiaco seguito all’aggravarsi di una cardiopatia.

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IL ROTARY CLUB ROMA ANIENE INAUGURA L’ANNO 2023-2024 ALL’ INSEGNA DELL’ IMPEGNO SOLIDALE E PROGETTUALE

Come nelle migliori pièce teatrali, anche nel Rotary vale la regola del testo e del sottotesto. Il testo è scritto interamente nelle coordinate statutarie di quella che il presidente Deneb Antuoni, nel suo saluto ai soci, ha chiamato la “grande famiglia della rete mondiale del Rotary”; il sottotesto è più sottile e latente ed emerge dalla trama delle relazioni empatiche ed emozionali che i soci sempre attivano quando si incontrano e si riconoscono quali interpreti di un progetto comune.
Le maggiori espressioni del sottotesto rotariano sono venute dalla dirigente scolastica del Liceo “Sandro Pertini” di Ladispoli, Fabia Baldi e dalla psicologa e scrittrice Maria Rita Parsi, a conclusione del progetto “prevenzione del bullismo e del cyberbullismo in età scolare”, la sera di martedì 26 settembre in occasione della prima conviviale dell’anno rotariano 2023-2024 del Rotary Club Roma Aniene.

Fabia Baldi, Maria Rita Parsi,

Entrambe hanno spiegato chiaramente che la genetica non è predestinazione, che anche le periferie non sono predestinazione e che le buone pratiche scolastiche possono dirottare l’esistenza dei ragazzi in direzione della qualità della vita e delle relazioni umane.
Complici dell’evento, la magnifica terrazza dell’hotel ”The Hive” di Roma e una delle celebri serate sotto le stelle romane; il tutto sotto l’attenta ma discreta regia della neo-prefetta e past president Sara Iannone, cui Deneb Antuoni ha dedicato un affettuoso ringraziamento, semore molto attiva e impegnata, in qualità di presidente della commissione Effettivo, nella crescita e lo sviluppo del Club.
Tra i convenuti la segretaria Ester Campese, i presidenti delle varie Commissioni di lavoro, i membri del consiglio Direttivo del Club, la dott.ssa Emanuela Signori del Club “Circo Massimo” e la dott.ssa Silvia d’Alterio di “Roma Campidoglio”, soci e amici del Club, fra i quali Lino Bongiorno, Virgilio Di Giorgi, Alessandro D’Orazio, Laura Nuccetelli, Francesco Sala, Carla Ficoroni, il marchese Emilio Della Fontanazza, Cristina Bellini, Stefania Conti, Maria Dolores Balsamo, Maurizio Forliti, Giulietta Facco della Garda.

Il presidente del Rotary Club Roma Aniene Deneb Antuoni

Nel suo saluto il presidente Antuoni ha introdotto il tema della serata: il citato progetto “prevenzione del bullismo e del cyberbullismo in età scolare” che ha ottenuto riconoscimenti ufficiali anche dal distretto e una presentazione presso il Senato della Repubblica.


Tra i prodotti del progetto un vademecum portabile per la prevenzione del bullismo.
Nella sua comunicazione, Maria Rita Parsi ha ricostruito l’identikit psicologico del bullo e annunciato di fare del vademecum materiale per il suo nuovo libro. Maria Rita Parsi si è anche soffermata sul clima psicologico ed esistenziale prodotto dalla recente pandemia da covid 19 e dalle sue mutazioni raccontando le diverse strategie che le persone hanno adottato per superare “l’impotenza” derivante dalla coesistenza ravvicinata con il male e la morte: la fede, le ideologie, il mondo parallelo virtuale e persino l’estetica.
Rievocando il “Franti” del Libro Cuore Maria Rita Parsi ha descritto l’eziologia del bullismo proprio come una sindrome da impotenza.
Nella sua ampia recensione di scenario Maria Rita Parsi ha ricordato il lugubre “orologio dell’Apocalisse”, la metafora ideata nel 1947 dagli scienziati dell’Università di Chicago per misurare il tempo che ci separa dalla catastrofe nucleare e ricordato il suo libro del 2019 “Manifesto contro il potere distruttivo” scritto in collaborazione con il giornalista Salvatore Giannella.

Nella parte dedicata alla scuola ha denunciato la “mancanza” delle educazioni: sessuale, civica, emotiva e alimentare e del “rinforzo positivo”, ossia il ritorno-incentivo emozionale a sostegno delle condotte sociali virtuose. Di grande effetto la citazione di un prete:” Non ci si salva da soli, ma in metropolitana.”
La serata si è conclusa con la presentazione della nuova socia Stella Camelia Enescu. La cerimonia per l’accoglienza della nuova socia Rosetta Attento sarà effettuata in un prossimo evento la cui darà sarà a breve comunicata.


Una riffa ricchissima di premi, il cui ricavato sarà devoluto a favore delle popolazioni recentemente colpite dal sisma in Marocco e dall’alluvione in Libia ha connotato la serata secondo i valori rotariani dell’attenzione verso chi ha bisogno.
Beneficenza, progettualità, proposte, cura dei dettagli e armonia hanno dunque caratterizzato la prima serata conviviale dell’anno 2023- 2024 del Rotary Club Roma Aniene.

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23 SETTEMBRE 1943: OTTANTA ANNI FA L’EROICO SACRIFICIO DEL CARABINIERE SALVO D’ACQUISTO

Otto settembre 1943, la seconda guerra mondiale entra in una fase di massima criticità: l’Italia, dopo la caduta del fascismo, si dissocia dall’Asse Roma-Berlino e sottoscrive un armistizio separato con gli alleati anglo-americani. Il regio esercito si dissolve; tra i pochi rimasti a presidiare la continuità istituzionale sono i carabinieri.
I tedeschi, furibondi, danno luogo a una durissima repressione contro quelli che considerano i “traditori italiani”; il clima che si respira in quei duri momenti si percepisce tutto nel lugubre motto “per ogni tedesco dieci italiani”; anche per il fatto che i dieci italiani venivano rastrellati a caso.
Pochi giorni dopo l’otto, un reparto di paracadutisti tedeschi, acquartierati nella zona di Torrimpietra, frazione di Fiumicino, non lontana da Roma, ispezionano alcune munizioni abbandonate; probabilmente utilizzate per la pesca di frodo. Forse a causa di un errore provocano l’esplosione di una bomba a mano; due militari restano uccisi, altri due feriti.
Il sottufficiale comandante del reparto qualifica il fatto come un attentato e ne attribuisce la responsabilità ad attentatori locali; si rivolge allora ai carabinieri di Torrimpietra chiedendo collaborazione; in assenza del maresciallo comandante si rivolgono al giovane vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, nato a Napoli il 15 ottobre 1920, minacciando una sanguinosa rappresaglia qualora non venissero individuati gli attentatori. D’Acquisto svolge le prime indagini e riscontra presto che l’esplosione è conseguenza di un caso fortuito e di questo cerca di convincere il comandante tedesco; ma questi rimane irremovibile sulla tesi dell’attentato. Non soltanto, il sottufficiale tedesco minaccia di attuare la tristemente celebre “ordinanza Kesserling” (dal nome del feldmaresciallo Albert Konrad Kesserling, responsabile dell’intero settore sud del teatro di guerra), in sostanza la disposizione che prevede i massacri di civili.
Il 23 settembre di 80 anni fa i tedeschi rastrellano così 22 cittadini scelti a caso, tra cui un 13-enne; un 23° sarà aggiunto in seguito. Nuovamente interrogato, D’Acquisto conferma il risultato delle sue indagini sull’origine accidentale dell’esplosione; per questo sarà sottoposto a un pestaggio mantenendo tuttavia un comportamento calmo e dignitoso. Verificata l’impossibilità di scoprire gli inesistenti colpevoli il comandante dà gli ordini per le operazioni di fucilazione; operazioni che comprendevano lo scavo, da parte degli accusati innocenti, di una grande fossa comune.
È in quel momento che Salvo D’Acquisto compie il suo gesto eroico auto-accusandosi, davanti all’attonito comandante tedesco, di essere lui l’autore materiale dell’attentato.
Questa la testimonianza di uno dei presenti: “All’ultimo momento, però, contro ogni nostra aspettativa, fummo tutti rilasciati eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto. […] Ci eravamo già rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo dell’interprete. Cosa disse il D’Acquisto all’ufficiale in parola non c’è dato di conoscere. Sta di fatto che dopo poco fummo tutti rilasciati: io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località.”
Ad essere fucilato sarà soltanto il carabiniere-eroe Salvo D’Acquisto; un testimone riferirà più tardi di aver udito il grido “viva l’Italia”.
Per alcuni giorni il corpo rimane nella fossa, poi due donne, Wanda Baglioni e Clara Lambertoni, provvedono a trasportare il corpo nel cimitero locale.
Nel 1947 la madre ottiene l’autorizzazione alla traslazione delle spoglie a Napoli; nel 1986 vengono nuovamente traslate dapprima in una camera ardente presso il Comando della Legione Carabinieri Campania e poi al Sacrario Militare di Posillipo, dove riposa tuttora con gli onori attribuiti a uno dei massimi eroi dell’Italia contemporanea.
Nell’80° del sacrificio l’Arma dei Carabinieri e gli italiani ricordano con commozione e riconoscenza chi ha dato la vita per la salvezza delle persone che il dovere aveva messo sotto la sua protezione.
Al ricordo e alle onoranze si aggiunge quella di papa Francesco che ha dedicato un’udienza speciale in piazza S. Pietro ai rappresentanti dell’Arma, cui ha rivolto queste parole: «Vi ringrazio per essere venuti. È bello incontrarvi. Oggi siamo qui nel ricordo del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto, Servo di Dio ed Eroe della Patria».
Per Salvo è attualmente in corso il procedimento di beatificazione.

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È andato in scena con successo a Viterbo il terzo incontro del Salotto degli Artisti

VITERBO – Un pomeriggio all’insegna della cultura. Un percorso fra i ricordi, i segreti, la poesia, la musica e l’arte di una Viterbo meravigliosa. Alla presenza di un Continua a leggere

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10 settembre 1897: muore Ugo Foscolo, il poeta senza radici

“Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in Gente, mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio…”

Geopolitica e vita privata, amore e morte; le più cupe e irrisolte contraddizioni scuotono l’esistenza del più importante poeta dell’età di mezzo fra Neoclassicismo e Romanticismo.
Niccolò Foscolo nasce primogenito di quattro fratelli il 6 febbraio 1778 sull’isola greca Zante, conosciuta anche come Zacinto, allora possedimento della Repubblica di Venezia, da una modesta famiglia di padre veneziano e madre greca: “[…] non oblierò mai che nacqui da madre greca, che fui allattato da greca nutrice e che vidi il primo raggio di sole nella chiara e selvosa Zacinto, risuonante ancora de’ versi con che Omero e Teocrito la celebravano.”
Trascorre la prima giovinezza tra Dalmazia e Croazia; a Spalato studia nel seminario arcivescovile. Dopo la morte del padre (1788) torna a Zante e continua gli studi.
Di intelligenza brillante non è però studente disciplinato a causa di un carattere ribelle e passionale e di uno straordinario senso di giustizia. Giovanissimo si oppone vigorosamente a un tentativo di linciaggio degli ebrei del ghetto da parte degli isolani.
Agli inizi del 1789, quando in Francia stava per scoppiare la Rivoluzione Francese, la madre si trasferisce a Venezia; lì, tre anni dopo la famiglia si ricongiunge.
Ancora giovane decide di mutare il suo nome in Ugo; i due fratelli Giovanni Dionigi e Costantino Angelo moriranno suicidi.
Nella città lagunare Ugo compie studi più regolari e grazie agli insegnamenti di valenti maestri si appassiona agli studi classici greci e latini; diventa un assiduo frequentatore della grande Biblioteca Marciana (Marciana sta per “dedicata a San Marco”) dove trascorre intere giornate e diviene amico del prefetto bibliotecario Iacopo Morelli, fine letterato e scrittore, che lo consiglierà nella scelta delle letture.
Contemporaneamente stabilisce una forte amicizia con il bresciano Gaetano Fornasini, cui invia i suoi primi componimenti. A poco a poco i suoi versi cominciano a circolare.
Iacopo Morelli lo introduce negli ambienti colti della nobiltà veneziana; qui incontra Ippolito Pindemonte, poeta, letterato e traduttore dell’Odissea e altri importanti poeti, tra i quali Aurelio de’ Giorgi Bertola, cui dedicherà alcuni versi.
Diviene frequentatore del salotto della bella nobildonna Isabella Teotochi Albrizzi con la quale intraprenderà una relazione sentimentale, malgrado Isabella avesse 18 anni più di lui.
Gli anni della sua formazione intellettuale coincidono con quelli della Rivoluzione Francese e quell’evento non mancherà di contagiare gli ambienti colti italiani, nei quali brilla la stella dello scrittore milanese Alessandro Manzoni, di sette anni più giovane di Ugo.
Foscolo è un’antenna sensibile e capta stimoli e sollecitazioni provenienti da varie direzioni; negli anni ’90 stringe contatti con intellettuali bresciani e padovani tra i quali spicca Melchiorre Cesarotti (1730-1808), conosciuto, fra l’altro, per aver tradotto i “Canti di Ossian”, un’importante opera dello scozzese James Macpherson, dove Ossian è un antico cantore celtico; una sorta di Omero dell’antica isola britannica. L’onda poderosa del Romanticismo sta per travolgere l’Europa.
Negli anni ’90 rimane impressionato dalla figura del drammaturgo e poeta Vittorio Alfieri (1749-1803) e nel 1795, all’età di 17 anni, compone la tragedia “Tieste” che racconta in versi il terribile e macabro contrasto fra Atreo, re di Argo e suo fratello Tieste. Foscolo invia il testo a Melchiorre Cesarotti e all’Alfieri; l’opera verrà in seguito rappresentata con buon riscontro di successo al teatro Sant’Angelo di Venezia; ma l’irrequieto autore bolla in questo modo la sua creatura: “si ebbe forse più applausi che non meritasse”.
Un’altra tragedia, “l’Edippo”, andrà perduta finché l’italianista, accademico e specialista foscoliano Mario Scotti ne ritrova il manoscritto nel 1978 nell’archivio della rivista “Civiltà Cattolica”.
Intorno al 1796, all’età di 18 anni, redige un documento denominato “Piano di Studi” in cui progetta il proprio percorso di formazione intellettuale tra storia, morale, politica, metafisica, teologia, poesia, critica etc., gli autori, antichi e contemporanei, da studiare e le coordinate orientative della propria futura produzione letteraria.
Nel biennio 1796-1797 lascia Venezia e i suoi salotti e va a vivere a Padova, in quegli anni un vero laboratorio culturale; qui scrive alcuni articoli di carattere politico che gli attirano però i sospetti dell’establishment veneto. Per diversi mesi si isola nell’area dei colli Euganei.
Più tardi si trasferisce a Bologna dove aderisce alla “Repubblica Cispadana”, uno dei primi esperimenti di repubblica in un’Europa dominata dalle monarchie assolute; sosterrà Napoleone fino a quando, come molti altri intellettuali italiani (tra cui Manzoni) non riscontrerà essersi trasformato in un “tiranno”.
Nel maggio del 1897, all’età di 19 anni, torna a Venezia, ormai contagiata dalle istanze repubblicane, “a spargere le prime lagrime libere”. Ma quando, il 17 ottobre 1797, Napoleone firma il Trattato di Campoformio con l’Austria, svendendo la Repubblica Veneta agli Asburgo, il 19-enne Foscolo è furibondo; questo il racconto di un testimone presente a un intervento del poeta in un’assemblea pubblica durante il quale prende la parola “per vomitare tutte le imprecazioni possibili contro il generale Bonaparte. Armato di un pugnale, facendo esclamazioni e contorsioni orribili, lo ha immerso con furore nel parapetto della tribuna, giurando di immergerlo allo stesso modo nel cuore del perfido Bonaparte”.
La delusione indurrà diversi patrioti al suicidio; una spinta suicida che contagia lo stesso Ugo che farà anche esperienze di consumo di oppio.
Deluso, abbandona Venezia e si esilia in Milano dove conosce Parini e Vincenzo Monti, il traduttore dell’Iliade, col quale avrà un rapporto controverso, anche a causa del particolare interesse che Foscolo mostra per la di lui moglie, l’avvenente attrice Teresa Pikler. A Milano entra in contatto con i maggiori patrioti e letterati italiani di tendenza repubblicana.
Deluso dalla politica e dal difficile amore per Teresa Pikler Ugo continua il suo inestinguibile pellegrinaggio in cerca dell’impossibile soddisfazione per i suoi ideali di libertà, uguaglianza e di perfezione letteraria tentando di annegare le sue ansie e le sue delusioni nello studio e nella scrittura.
Verso la fine del ’98 si trasferisce a Bologna dove scrive per la rivista politico-culturale “Il Genio Democratico”; i suoi scritti finiscono anche su “Edimburgh Review”.
A Bologna inizia la scrittura e la pubblicazione del romanzo epistolare “Ultime lettere di Jacopo Ortis”; il cognome “Ortis” è scelto in memoria del giovane Girolamo Ortis, morto suicida nel ’76 con un colpo di pugnale. Il medesimo tipo di morte auto-inflitta dal fratello di Ugo, Giovanni Foscolo, a causa di una grossa somma persa al gioco che non poteva pagare. In memoria di quel tragico evento comporrà la celeberrima e drammatica “In morte del fratello Giovanni”.
A cavallo di ‘700 e ‘800 si arruola nella Guardia Nazionale della Repubblica Cisalpina; inseguendo il sogno di un’Italia liberata e repubblicana partecipa a varie battaglie contro l’Austria degli Asburgo venendo ferito due volte, imprigionato e poi liberato. Partecipa anche alla difesa di Genova.
Seguono anni di intensa attività letteraria, di carattere sia poetico che politico; molte delle sue maggiori opere sono di quel periodo. La sua produzione si ispira ai canoni stilistici di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), grande letterato, storico dell’arte e archeologo tedesco, il maggiore teorico del Neoclassicismo, che ispirerà gli artisti di tutta Europa, compreso il celebre scultore italiano Antonio Canova (1757-1822).
Ma la letteratura non estingue il pellegrino senza meta che abita in lui e viene il “tempo che un giovine di venticinque anni abbandoni l’ozio letterario”; si arruola nei reparti italiani a sostegno della rivoluzione francese. In Francia conosce lady Fanny E. Hamilton, che chiamerà Sophia, sposata ma con cui avrà una relazione sentimentale dalla quale, nel 1805, nasce la figlia Mary, che però chiamerà Floriana.
Malgrado gli spostamenti continua a scrivere. A Parigi incontra Alessandro Manzoni dove viveva con la madre Giulia Beccaria, figlia del celebre giurista e letterato Cesare Beccaria, padre fondatore del diritto moderno. Foscolo lascia un’impronta indelebile nella formazione del giovane Alessandro.
Tra il 1806 e il 1809 soggiorna nuovamente in Italia dove avrà un’intensa attività letteraria ottenendo la cattedra di “eloquenza” all’Università di Pavia per “chiara fama”. A questo periodo appartiene la composizione del celebre carme “Dei sepolcri”.
Dopo un ulteriore periodo randagio per città e amori italiani, inseguito dalla polizia austriaca si trasferisce in Svizzera e poi in Inghilterra; nel settembre 1816 è a Londra dove trova una calorosa accoglienza da parte dei circoli intellettuali inglesi: “da che toccai l’Inghilterra ebbi lieta ogni cosa…”.
Malgrado i suoi continui successi letterari alcuni investimenti avventati lo riducono in povertà; fortunatamente ritrova la figlia Mary-Floriana che lo assiste amorevolmente.
Non ancora 50-enne gli viene diagnosticata una grave malattia al fegato e successivamente ai polmoni; Ugo Foscolo muore il 10 settembre del 1827 all’età di 49 anni. Due anni dopo, all’età di 24 anni muore anche Mary.

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L’affascinante storia della Biblioteca Alexandrina

Questo è il breve racconto dell’affascinante e tormentata storia di uno dei più importanti centri culturali di tutti i tempi: la Biblioteca di Alessandria. Alessandria d’Egitto (al-Iskandariyya; Alexándreia; Alexandrea ad Aegyptum in arabo, greco e latino) si trova sulla costa mediterranea dell’Egitto, a pochi chilometri a ovest del delta del Nilo (oggi è la seconda città egiziana e il maggiore porto nazionale). La biblioteca venne edificata nel III secolo a.C. sotto la dinastia tolemaica, come corpo annesso al “museion”, l’edificio dedicato alle figlie nate dal rapporto di zeus con mnemosýne (divinità della memoria), ossia le muse, le divinità ispiratrici delle arti. La biblioteca era governata da una folto gruppo di esperti sotto la direzione di un soprintendente che veniva nominato direttamente dal faraone; secondo alcune fonti la biblioteca arrivò a contenere quasi 500 mila “rotoli” (così erano fatti i libri di allora; per questo ancora oggi si dice “volume”). Quando i volumi raccolti furono troppo numerosi si rese necessaria l’edificazione di una seconda struttura: il “Serapeo” (“Il Serapeo, il cui splendore è tale che le semplici parole possono solamente sminuirlo…”; Ammiano Marcellino, storico romano). La biblioteca è probabilmente da mettere in relazione anche con la contemporanea impresa di tradurre l’Antico Testamento dall’ebraico al greco; traduzione conosciuta come “Bibbia dei Settanta” (o Septuaginta).
Gli ambiti tematici della biblioteca e i curatori coprivano tutti i campi del fiorente sapere ellenistico: filosofia, matematica, poesia, lessicografia, filologia, retorica, geografia, astronomia etc.
Le fonti e i documenti relativi alla vita e alle distruzioni della biblioteca di Alessandria sono molti ma non di rado incerti, incompleti e contraddittori, per cui una ricostruzione storiograficamente fedele e completa dei fatti è estremamente difficile; a tale riguardo è opportuno considerare due importanti premesse. La prima consegue al fatto che l’Egitto, come tanti altri territori mediterranei e mediorientali, era profondamente influenzato dalla cultura “ellenistica” di origine greco-romana (che la storiografia colloca fra il IV e il I a.C.) al punto che quella tolemaica è considerata dagli storici una dinastia greco-egizia (molto probabilmente discendente da un ex generale di Alessandro Magno; 356 a.C. – 323 a.C.), ). La seconda premessa costituisce in realtà un chiarimento: la filosofia, la matematica e la cultura ellenistiche, spesso considerate come massima espressione del pensiero laico e razionale, erano non di rado influenzate dallo “gnosticismo”, ossia un articolato complesso di credenze, religioni, riti etc. che, attraverso la conoscenza, ritenevano di pervenire alla verità divina; un percorso che implicava l’iniziazione, l’osservanza di rigide regole e gerarchie, i maestri, la “schola” e, talvolta, la natura settaria. Sfortunatamente le scuole erano molte e questa proliferazione favorì da un lato conflitti ed eresie e, dall’altro, il sincretismo, ossia la fusione e l’adattamento reciproco fra filosofie e religioni diverse. Tale caratterizzazione gnosticista è considerata da diversi storici come una delle possibili ragioni alla base delle famose “distruzioni” cui, nei secoli, sarebbe stata sottoposta la biblioteca di Alessandria da parte di religioni ostili allo gnosticismo, quali il cristianesimo e l’islam. Le ripetute distruzioni della biblioteca di Alessandria costituiscono ancora oggi uno degli snodi interpretativi più complicati e controversi, comprendenti anche la possibilità che alcuni incendi siano avvenuti per cause meramente accidentali e che taluni condottieri ne abbiano letteralmente inventato e rivendicato la distruzione al solo scopo di rafforzare il proprio credito fra i seguaci.

Gli eventi distruttivi più accreditati o ritenuti possibili dalla storiografia ufficiale sono ristretti a quattro circostanze: l’incendio del 48 a.C. attribuito, ma con molti margini d’errore, a Giulio Cesare; la distruzione avvenuta durante la campagna dell’imperatore Lucio Domizio Aureliano contro Zenobia di Palmira (270 d.C. circa); l’editto contro il paganesimo dell’imperatore Flavio Teodosio I (400 d.C. circa); l’incendio durante l’occupazione araba del 642 d.C. su comando del califfo Omar. Come si è detto sopra, i saperi di natura settario-scolastica erano guardati con grande sospetto dai capi politico-religiosi. Si racconta che, quando gli arabi incendiarono la biblioteca, usarono i libri come combustibile per riscaldare l’acqua dei bagni riservati all’esercito e che questi mantennero il fuoco attivo per sei mesi (ma anche questo racconto è da prendere come elemento da repertorio narrativo).
La continuazione di questo esperimento storico è l’attuale “Bibliotheca Alexandrina”, inaugurata in Alessandria d’Egitto il 16 ottobre 2002, su iniziativa dell’UNESCO, con finanziamenti arabi e progetto norvegese. Attualmente è una delle più importanti biblioteche del mondo.

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LA SCOMPARSA DEL GRANDE MAESTRO ALESSIO PATERNESI. LA TUSCIA PERDE UNO DEI SUOI FIGLI MIGLIORI

Dalla provincia al mondo; nato il 28 ottobre 1937 a Civita Castellana è proprio dalla terra dei Falisci che Alessio Paternesi inizia il suo pedinamento sulle tracce della sintassi intima della forma.
Le biografie non sono ricche di dettagli ma non sorprende la parabola accelerata di Paternesi nei circuiti dell’arte contemporanea: appena 22-enne è già nella rosa degli artisti della VIII Quadriennale di Roma, cugina della Biennale di Venezia ma espressamente dedicata all’arte contemporanea italiana, oggi partecipata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma.
Parteciperà all’importante appuntamento romano in altre tre edizioni.
Nel 1962, all’età di 25 anni, realizza la sua prima personale alla galleria “La Pantera” di Lucca.
Da quel momento le coordinate della sua intensa attività artistica sono due: il mondo e il territorio.
Espone negli Stati Uniti e in diversi paesi europei ma numerosi sono i suoi interventi nella provincia di Viterbo, specialmente negli anni ‘90. Nel ’95-’98 Paternesi realizza il celebre monumento ai facchini di Santa Rosa di piazza della Repubblica e il monumento in bronzo dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale di piazza del sacrario di Viterbo.
Sei anni dopo, a Friburgo, importante centro della Germania sud-occidentale, vicina al confine francese, viene inaugurata l’opera in bronzo “Lupa Capitolina”, realizzata in collaborazione con la “Società Dante Alighieri”, in occasione dell’apertura di una nuova via dedicata alla Città di Roma.
Nel 2007, a Bagnoregio, realizza la scultura in bronzo dedicata allo scrittore Bonaventura Tecchi insieme alla riqualificazione della celebre piazzetta-gioiello dalla quale si accede al ponte “cordone ombelicale” che, scavalcando parte della Valle dei Calanchi, collega la Città che muore al resto del mondo.
Nello stesso anno, nel mese di ottobre, la Provincia di Viterbo, in coincidenza della duplice ricorrenza degli 80 anni dell’ente locale e dei 70 dell’artista, gli dedica “Parentesi Paternesi: anagramma della vita di un Artista”, una grande mostra allestita nel Palazzo dei Papi.
Nel 2013 a Viterbo viene presentato “Dalla terra alla forma”, un volume interamente dedicato alle opere in ceramica di Paternesi; quattro anni dopo, nella natia Civita Castellana, viene inaugurata la “Fontana delle acque vergini”, opera commissionata all’artista dal comune e, a Viterbo, una mostra antologica a Palazzo dei Priori in occasione del suo 80° compleanno.
Mentre tutto questo andava in scena in provincia di Viterbo il comune di Roma, nel 2005, gli commissiona il “Monumento in ricordo della Liberazione di Roma” in Piazza Venezia, davanti all’Altare della Patria (inaugurato nel 2006) e, su un’idea del pittore surrealista e architetto cileno Roberto Sebastiàn Matta Echaurren, amico personale di Paternesi, allestisce la mostra itinerante “Indovina la Commedia”, formata da una serie di dipinti ispirati al capolavoro dantesco.
Sul piano stilistico la pittura di Paternesi consegna all’interpretazione dell’occhio umano gruppi di figure tratte da un’umanità lontana, talvolta slavate, spesso nude, colte in espressioni assenti, bloccate in muti gesti primari come ballerini o attori prima della performance, raccontate con coloriture trattenute, spesso emergenti da uno sfondo vegetale riccamente ricamato.
La scultura di Paternesi sviluppa figurazioni mollemente ripiegate su forme primarie, come un investimento sulla plasticità della materia prima.

“La tua pittura ha l’odore della terra sa di creta e di fango, di rugiada all’alba d’ocre dorate, rossi cupi e silenzi sereni che riposano già in un cavallo, un gatto, una ragazza nuda”.
Rafael Alberti; Roma settembre 1975

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